“Longshots #1” si presenta come una delle operazioni più meta-narrative della Marvel degli ultimi anni, un fumetto che non solo gioca con il linguaggio della competizione e dello spettacolo, ma lo trasforma in una riflessione critica sul potere dei media e di inganno del pubblico. L’idea è geniale: Mojo, demone mediatico che incarna il degrado dell’intrattenimento, inscena un nuovo reality mortale con protagonisti i vari Wonder Man, Hellcat, Bishop, Rhino e Kraven, cinque figure tanto diverse quanto emblematiche del mondo Marvel costrette a combattere in un’arena dove le regole non esistono e dove la sopravvivenza dipende in apparenza dai soldi del pubblico.
A firmare questa provocazione sono Gerry Duggan e Jonathan Hickman, due autori abituati a giocare con le strutture del potere e con la meta-narrazione. Hickman, in particolare, sembra tornare al suo tono più sperimentale, ciò che unisce critica sociale e show, mentre Duggan aggiunge il suo tocco ironico e cinico, trasformando la trama in un reality distopico dove l’eroismo non ha più significato morale, ma commerciale. I disegni di Alan Robinson accentuano la dimensione caricaturale, con tratto che alterna violenza e grottesco, come se ogni vignetta fosse un fotogramma di un talk show.
Ma l’aspetto più interessante di “Longshots #1” è proprio il modo in cui Mojo diventa lo specchio deformante della nostra epoca. Da decenni, il personaggio rappresenta la critica interna della Marvel al potere dei media, al voyeurismo e alla spettacolarizzazione della violenza. Qui, tuttavia, il discorso si fa più diretto: il pubblico non è più un semplice spettatore, ma un complice attivo. Mojo promette che i lettori potranno “votare con il portafoglio”, ma ammette subito che la decisione finale spetta solo a lui. È una metafora perfetta per la falsa partecipazione che caratterizza i sistemi democratici di oggi.
In questo senso, “Longshots” non è solo un fumetto d’azione o un esperimento promo. È una riflessione corrosiva sul capitalismo dell’attenzione, sull’illusione di libertà nel consumo culturale e sulla perdita di autenticità nell’epoca d'oggi. Infatti, l’idea che uno solo sopravvive è una metafora del mercato stesso, dove solo ciò che vende resiste, e tutto il resto viene sacrificato. La Marvel gioca con il fuoco, ma lo fa con intelligenza, trasformando la propria autocritica in spettacolo, e lo spettacolo in un’arma di consapevolezza.
L’albo in uscita l’8 ottobre promette di essere uno dei più discussi dell’autunno, non tanto per la trama, ma per la lucida ferocia con cui si guarda al sistema che produce. L’ironia del titolo, Longshots, non sfugge: è un termine che indica chi parte senza speranze di vittoria, ma anche chi tenta il colpo impossibile. In un’industria dove tutto è pianificato e prevedibile, l’azzardo di Duggan e di Hickman rappresenta forse proprio questo — il tentativo di far sopravvivere un’idea di fumetto dentro un meccanismo che tende a soffocarla.
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