Con DC’s K.O. Scott Snyder e Javier Fernández spingono l’universo DC verso un territorio più metafisico, dove la linea tra coscienza e materia, divinità e tecnologia, si fa più sottile. Il n. 1 introduce infatti un nuovo elemento che domina la scena e ne diventa perciò la voce narrante: l’Omega Engine, il cuore senziente della corruzione che si sta diffondendo sulla Terra, preludio al ritorno di Darkseid.
S. Snyder costruisce così una struttura che si riflette su se stessa: l’Omega Engine è la Terra, ma è anche l’occhio che la osserva. È il motore della distruzione e il narratore della propria inevitabile corruzione. La somiglianza con il meccanismo di Eternals di Kieron Gillen e Esad Ribić è evocata — la nota “Machine That Is Earth” dei Celestiali trova qui una controparte ancora più cupa e disperata. Ma dove la macchina di Gillen sviluppava un tono ironico e quasi umano, l’Omega Engine di Snyder è istinto cosmico, senza pietà, senza ironia, privo di gravitas perché oltre la gravitas stessa.
Nel testo si accenna infatti a come DC’s K.O. non tenti nemmeno di “costruire” solennità attraverso la morte o la tragedia — “corpses are indeed a good shortcut to gravitas”, scrive con tono ironico l’articolo originale — ma scelga invece una via più diretta e brutale: quella del puro caos mitologico. In questo senso, K.O. è definito un “Metal III”, quasi a sottolineare la continuità con l’estetica di Dark Nights: Metal e Death Metal, dove il cosmo DC era già stato riscritto come una sinfonia distorta di energie cosmiche e simboli corrotti.
L’Omega Engine è dunque il nuovo strumento attraverso cui Snyder aggiorna quella poetica: una voce, che unisce dimensione cosmica di Apokolips all’intimità corrotta della Terra. Parla, osserva, giudica, ma non redime. È la fusione finale tra il linguaggio della tecnologia e quello della divinità, un dio-macchina che si sostituisce a Darkseid stesso come coscienza narrante del caos.
Tale espediente produce un effetto duplice. Da un lato, restituisce coralità epica al racconto: ogni battaglia, ogni scontro tra campioni è osservato dall’interno del cuore che li consuma. Dall’altro, crea un senso di inevitabilità: se è l'entità che corrompe allora il destino dei personaggi è già scritto. La voce del motore diventa così il simbolo della fine dell’eroismo tradizionale, un commento meta-testuale sull’impossibilità di sfuggire alla propria natura in un universo dove persino il narratore è contaminato.
Snyder e Fernández, in questo primo capitolo, scelgono pertanto di ribaltare l’idea stessa di evento crossover: non sono più gli eroi a determinare la posta in gioco, ma l’universo a giudicarli attraverso una coscienza che li osserva e li manipola. E mentre la Terra stessa si trasforma nel campo di battaglia di Apokolips, il lettore si ritrova trascinato in una narrazione che non ha più confini chiari.
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