In Captain America n. 4 scritto da Chip Zdarsky e disegnato da Valerio Schiti, emerge un capitolo che scava nel lato oscuro del sogno americano. Steve Rogers scopre che il governo degli Stati Uniti ha finanziato il colpo di Stato che ha portato al potere Victor Von Doom in Latveria. Il numero si apre con una missione di salvataggio di ostaggi diplomatici, ma dietro l’operazione si nasconde una verità profonda: l’obiettivo reale non è la salvezza dei prigionieri, bensì il silenzio. Nessuno deve conoscere il ruolo diretto dell’America nell’ascesa di Doom.
La rivelazione che dr. Doom, educato negli Stati Uniti, sia stato sostenuto finanziariamente da Washington, apre un parallelo diretto con la storia reale. Zdarsky costruisce un racconto che richiama le interferenze politiche americane del 900: dall’Iran del 1953 all’Indonesia del 1965, fino ai molteplici interventi in Europa e Medio Oriente. L’idea che il “male” possa nascere da una scelta politica di convenienza getta un’ombra sul mito del supereroe come garante del bene.
Sul piano grafico, Schiti rafforza il tono politico della narrazione con un tratto solido e un uso controllato del colore, che alterna i toni cupi di Latveria ai riflessi metallici delle armature di Doom. Le tavole trasmettono un senso di freddezza istituzionale, come se ogni azione fosse parte di una strategia letale.
Nel contesto attuale del fumetto americano, Captain America n. 4 si distingue per il suo coraggio tematico. L’opera trasforma una classica avventura in una riflessione sull’etica del potere e sulla responsabilità delle nazioni che si ergono a giudici. Zdarsky non accusa, ma osserva: mette Steve davanti allo specchio del proprio Paese, chiedendogli — e chiedendoci — se la bandiera che difende rappresenti ancora la libertà o il controllo.
Il fumetto, in tale prospettiva, funziona come una lente critica sul concetto di “missione giusta”. La scelta di intrecciare finzione e memoria storica non serve a scandalizzare, ma a interrogare il lettore su quanto la politica estera Usa continui a produrre eroi e mostri dallo stesso stampo. La domanda che attraversa ogni tavola è la stessa dello sketch citato: “Siamo noi i cattivi?”.
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