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La geopolitica dentro Wonder Woman

In Wonder Woman #26, il team di Tom King e Daniel Sampere costruiscono una parabola politica che usa l’isola di Moray come teatro di una riflessione sull’autoritarismo e sulla manipolazione collettiva. L’isola nasce come rifugio per coloro che hanno perso tutto a causa delle battaglie tra supereroi, in particolare dopo la Crisis on Infinite Earths. Un luogo pensato per trovare pace si trasforma in un laboratorio del potere, dove le buone intenzioni vengono travolte da nuove forme di dominio.

Il protagonista di questa deriva è però Mouse Man, un criminale minore che sfrutta il vuoto di potere per instaurare un regime personale. Inizia come figura grottesca e marginale, ma la storia mostra come la mediocrità possa farsi tirannia quando trova consenso e paura. Il controllo di Mouse Man cresce insieme al simbolismo del regime: raduni, bandiere, slogan e la repressione di ogni dissenso. L’isola diventa una caricatura inquietante delle dittature moderne, dove il culto del capo prevale.

Wonder Woman entra in scena come osservatrice e poi come forza di riscatto. La sua missione è salvare una società che ha rinunciato a scegliere. Diana incontra i ribelli felini, un gruppo che rappresenta la resistenza morale contro l’oppressione e che riaccende in lei il senso della giustizia autentica.

L’opera alterna ironia e inquietudine, con un tono che ricorda la satira politica travestita da racconto fantasy. King usa l’assurdo per descrivere un meccanismo familiare: l’ascesa di un potere che promette ordine e porta schiavitù. La figura di Mouse Man diventa un simbolo della fragilità della democrazia.

Il fumetto riesce a unire critica sociale e azione supereroistica con molto equilibrio. Le tavole di Sampere rendono il clima di oppressione crescente, con scenari densi di segni e di contrasti. L’insieme è un racconto che usa la mitologia dei supereroi per interrogare il presente, e dimostra come anche l’assurdo possa rivelare la verità di un tempo dominato da nuovi piccoli tiranni.

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